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(di Simone Perotti)

La Turchia è un Paese mediterraneo!”. Esordio opposto a quello del nostro incontro con Serra Yilmaz. Ancora contraddizioni, ancora ipotesi opposte e controverse. La nostra strada per la conoscenza di questa porzione di Mediterraneo è fitta di ostacoli. A rispondere alle mie domande è Vana Stellou, greca, corrispondente da Istanbul del secondo maggior giornale greco, che pochi giorni fa ha intervistato me.

Interessante scambiarsi di ruolo, offre ulteriori opportunità per capire. “Qui sono come noi. Un po’ meglio…”. Ma come turchi e greci si odiano, come mai tutta questa benevolenza? “Ma non è vero. La gente sta insieme bene, senza il minimo problema. Forse sono stati i poteri forti a scontrarsi, perché i due Paesi occupano una posizione da sempre strategica, con molte influenze straniere. Ma la verità è che io, che sono qui da anni, non ho mai avuto un solo problema, tutti mi hanno accolta, ci chiamano i ‘fratelli greci’. E poi questa è una città greca, lo era Bisanzio, lo era Costantinopoli. Ci sono state diàspore, deportazioni forzate, ma era e resta greca l’anima di Istanbul. Almeno, una delle anime”. Anche i turchi stessa faccia, anche se non stessa razza.

“Erdogan ha modernizzato i Paese. Il kemalismo lo aveva reso immobile, burocratico, asfissiato dal suo stesso nazionalismo. Nessuno si rende conto cosa vuol dire condurre un Paese così grande, ottanta milioni di persone, che ha vissuto una decina d’anni di crisi economica, ha pagato quel che doveva e ora è ripartito alla grande”. Eccoci di nuovo alle contraddizioni. Abbiamo sentito voci molto ostili a Erdogan, e poi eccone di favorevoli, e marcatamente anche. “Certo, ci sono problemi: quello della condizione femminile, soprattutto, perché le donne, particolarmente nel Paese rurale, a est, sono ancora in casa, hanno paura, c’èt roppa permissività nelle violenze domestiche, nel delitto d’onore. Ma non è l’unico posto del mondo in cui questo accade. I femminicidi esistono anche in Italia”, purtroppo ha ragione. “Erdogan è un politico molto intelligente e furbo. Ha fatto aperture alla minoranza curda, come nessuno prima di lui. Oggi rischiano di risolvere la loro annosa e antica controversia, e anche col PKK, Erdogan sta lavorando per una risoluzione. E’ chiaro che così prende voti anche da quella parte, non solo dal mondo religioso islamico. Col kemalismo i Dervishi non potevano danzare, chi voleva professare la propria religione non poteva, chi per tradizione o convinzioni voleva portare il velo non poteva farlo in un mucchio di luoghi pubblici. Era perfino vietata la barba per chi lavorava nella pubblica amministrazione. E’ naturale che ora tanta gente saluti le sue aperture come un segno di pacificazione e di evoluzione verso le pari dignità. E questo vuol dire voti. Non c’è da stupirsi dunque della sua ascesa. Il Paese è diviso a metà”.

Torna anche questa divisione in due, questa multi-identità, quella doppia o tripla personalità. In questo, ha ragione Vana, vedo molti punti in comune coi greci. Le chiedo dei movimenti di Gezi Park. “Non è stato un gran movimento, molto inferiore a quello greco di Piazza Syntagma. Quanto è durato, due o tre mesi? Non si è creato un fronte. L’opposizione è divisa, debole, e anche all’interno dei partiti ci sono anime diverse in lotta perenne. Chi sarebbe l’alternativa a Erdogan? E lo stesso movimento giovanile dov’è? Dovremmo avere folle oceaniche quando abbiamo una donna vittima delle violenze, come nel caso Özgecan. Ma dove sono queste folle? Manifestazioni ce ne sono certo, ma niente di clamoroso, e poi finisce tutto lì”. In effetti ho visto tante manifestazioni, sempre guardate a vista da imponenti misure d’ordine pubblico, ma mai qualcosa di davvero imponente.

“La stessa cosa per la storia che i baci in pubblico sarebbero vietati, o che il governo fa pressione perché i giovani non vivano insieme prima del matrimonio. Non vedo folle che scendono in piazza. Eppure questa è una cittàdi 16 milioni di persone, dunque dovrebbe essere semplice scatenare un blocco delle piazze. Ma questo movimento non c’è. C’è stata una protesta naturale per difendere il verde che qui è già così poco. E ci mancherebbe! Ma poi?”.

Le chiedo se la crescita economica turca sia vera o invece sia una leggenda che serve per sostenere entusiasmo e difendere il governo. “Crescita ce n’è, e anche parecchia. Gli investimenti pullulano. Il Paese è credibile. Erdogan ha azzerato la burocrazia, qui per aprire un negozio servono cinque giorni. Certo, ci sono molte carte di debito, qui la gente spende soldi che non ha, e questo potrebbe essere rischioso. Parlare di miracolo economico è eccessivo, ma certo rispetto all’immobilismo precedente sembra di volare”.

La faccio parlare, non le contesto nulla, voglio che mi dia la sua opinione senza essere rintuzzata o contraddetta. Voglio ascoltare. Del resto da quando sono qui non ho fatto che entrare in crisi con le mie certezze da occidentale. Qui è tutto complesso da comprendere, per nulla facile maturare una propria opinione. Le chiedo, ad esempio, del pericolo di deriva conservatrice. “Anche questa è una favola. Non c’è alcun pericolo di questo tipo. La città che vedi tu com’è? Libera? Hai problemi? Riesci a girare, qualcuno ti dice qualcosa? Beh, io giro in minigonna (ne ha una piuttosto corta mente la intervisto, in effetti, ndr) e non ho mai avuto un problema. Anzi, donne col velo che abitano nel mio palazzo, dopo tre o quattro giorni che non ci vediamo mi vengono a chiedere se va tutto bene, se ho bisogno di qualcosa. Siamo amici, e nessuno si sognerebbe mai di dire niente all’altro. Ognuno fa quello che vuole. Ma almeno ora se una vuole indossare il velo può farlo. L’Occidente ha equivocato tra diritto a portare il velo e dovere di indossarlo. Cambia tutto, se ci pensi”.

Ma le leggi repressive, il ruolo della polizia e dell’esercito? “Beh, per la prima volta i vertici militari sono finiti in prigione, beccati in qualche scandalo. E che facciamo, lo consideriamo un fatto negativo? A me pare positivo. Quanto alle leggi per tenere sotto controllo la situazione mi limito a riportare una voce che circola: quando Erdogan andò in USA nel 2013 ebbe scambi molto difficili con Obama. Tutte le questioni sul tavolo vennero affrontate in giorni molto laboriosi. Una foto alla conclusione degli incontri ritrae un Erdogan molto freddo, molto distante. Dalla sua faccia si vede che non si erano intesi per niente con il leader USA. Beh, lui era ancora in aereo e tornava a Istanbul da Washington e scoppiarono i tumulti di Gezi Park. Diciamo che si trattò solo di un caso?”.

Ci fermiamo qui. Una posizione così netta e chiara sulla situazione turca non l’avevo ancora sentita. Bisognerà incrociarla con molte altre voci. Soprattutto, bisognerà pensarci con molta apertura