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(di Simone Perotti)

Due settimane a Tel Aviv, altra tappa di Progetto Mediterranea. Dalla partenza dall’Italia, maggio 2014, il nono paese del Mediterraneo che tocchiamo, visitiamo, cerchiamo di comprendere. Appena messo piede a terra, dopo le lunghissime e a momenti tese operazioni di dogana – “barche da Beirut non ne arrivano mai, siamo Paesi in guerra…”- ci dicevano, penso: “siamo arrivati fin qui…”. Il punto più a est della nostra spedizione è stato la Georgia, sul Mar Nero, ma questo – Libano e Israele – è il punto più orientale del Mediterraneo propriamente detto. Il Mar di Levante, appunto. Siamo in Asia, per la terza volta, dopo Batumi e Beirut. Ragionarci, fa percepire le dimensioni e l’orientamento di questa nostra piccola impresaAd Haifa diciotto poliziotti in totale silenzio, di notte, armati, ci hanno atteso preoccupati di veder schizzare fuori dieci Hezbollah armati fino ai denti. Poi, dopo ore, e dopo averci smontato la barca, sono andati via col sorriso. Da Haifa abbiamo navigato fino a Tel Aviv, nell’Herzliya Marina, dove siamo arrivati in una sera ventosa, con un ormeggiatore incapace di darci una mano, e abbiamo faticato non poco a infilare Mediterranea nel suo posto al molo. 

Un marina pieno di vita, con decine e decine di bambini e ragazzi che ogni giorno praticano la vela, barche da diporto che escono fanno un po’ di bordi in mare e rientrano. Da qui, Cipro è a oltre 120 miglia, e i paesi limitrofi sono impraticabili per gli israeliani. “Un paese da cui si esce solo in aereo. Di fatto, Israele è un’isola”, ci ha detto Manuela Dviri, durante il nostro incontro. Un’isola. In Asia.

Ci muoviamo per giorni alla scoperta – e riscoperta, per chi di noi ci è già stato – di Tel Aviv e del Paese. Il salto sociale, dell’atmosfera, delle condizioni di vita, tra Libano e Israele, è palpabile. Dalle fattezze della gente, dalla modalità di organizzazione dei servizi, dall’urbanistica, dagli arredi dei palazzi… tutto fa sembrare Tel Aviv una città occidentale. Miami, forse, per i viali larghi e le teorie di palme, o per la spiaggia lunga che fronteggia la città e la fa sboccare direttamente sul mare. Tel Aviv – Yaffo, a dire bene il suo nome, cioè Giaffa, la città antica, araba, preesistente, e Tel Aviv, quella nuova, israeliana. Ci accorgiamo di camminare per le vie sforzandoci di non avere pregiudizi, di non prendere parte ad alcuna disputa, ma di vedere, osservare, registrare, lasciando ogni valutazione, se necessaria, a quando sarà. Certo è che qui ordine, una certa cura, giardini, traffico fitto ma ordinato, servizi, offrono della città un’impressione di vivibilità molto diversa da quella da cui proveniamo, il paese subito a nord. Lì decine di gruppi, enclave, faticano a coesistere in modo pacifico e stabile, qui un gruppo dominante si aggrega intorno ai valori del sionismo, della terra promessa, senza entrare sul tema delle modalità con cui è stata raggiunta e popolata.

Scopriamo rapidamente la società tecnocratica israeliana, tutta dedita al lavoro, sviluppata tecnologicamente, pragmatica, sostanzialmente efficiente. Un imponente sistema di trasporti pubblici relativamente a basso costo consente di girarla e andare dovunque. Supermercati, banche, locali sempre gremiti danno conto di uno schema di vita occidentale perfettamente radicato. Siamo in Asia, dovremmo trovarci sul Mediterraneo, ma siamo contemporaneamente in Europa, negli USA. La formazione della società in un coacervo multietnico di famiglie provenienti dalla Polonia, dall’Ungheria, dal Marocco, e dai Paesi ad est, Iraq, Giordania, Egitto, come dalle Americhe e da ogni altro luogo del mondo, disorienta e affascina. Come in una Babele di lingue e costumi, in Israele, forse, solo chi ci vive sa dove si trova.

Città moderna, Tel Aviv, oppure di quartieri centrali con case a due o massimo tre livelli, dall’architettura abitativa spesso brutta e mal tenuta, ma con perle come la Città Bianca, il quartiere in stile Bauhaus, in cui negli anni ’30 un gruppo di architetti europei, soprattutto tedeschi, realizzò circa 4.000 edifici in stile modernista, un esempio unico al mondo per concentrazione e uniformità ai dettami architettonici dell’international modern style, proclamato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2003. O come alcune strutture pubbliche, il Museo d’Arte di TelAviv TAMA, su tutti, splendido come area, come costruzione e per la ricchezza e la bellezza delle opere che contiene.

Eppure Tel Aviv è Giaffa/Yaffo, la piccola città araba sulla collina a sud della città, si dice il più antico porto del Mediterraneo. Oggi ristrutturata, fin troppo bene, e un po’ deserta, quasi un museo a cielo aperto senza vita, eppure affascinante, attorniata a est da un quartiere-mercato vivido, curato, perfino elegante a tratti, pur nella sua matrice che pare ancora vera e forse popolare.

La sera del 69° anniversario della nascita dello Stato d’Israele giriamo per le vie affollate di gente entusiasta, apparentemente serena, orgogliosa anche nel dissenso verso le scelte del governo sul tema dei palestinesi. I controlli, rispetto ad anni fa quando trovammo una città blindata, sono attenti ma discreti, si respira un’atmosfera di moderata tranquillità. “Israel can manage it” ci dicono molti: Israele è forte, può gestire lo status quo, che però vede milioni di palestinesi nei campi profughi, senza molti diritti, occupati in un territorio che dal ’67, senza andare troppo indietro nel tempo, sono occupati illegalmente. A loro questo status quo pesa, moltissimo, e il fatto che Israele possa mantenere la situazione attuale non dovrebbe giustificarne il protrarsi.

Città laica, Tel Aviv, come dovrebbe essere l’intero Paese, che pure, tuttavia, non consente matrimoni civili, ma solo religiosi, o che vive mille contraddizioni basate sulla religione dall’alimentazione kosher alle abitudini di vita sociale al lavoro al servizio militare. Città che sa e vuole protestare, spesso, quando centinaia di migliaia di persone scendono in piazza contro le decisioni del governo sul tema dei palestinesi, mostrando al mondo che qualcuno, molti, con la fortuna della sicurezza raggiunta, della libertà, vorrebbero evolversi cercando il diritto, la pace, l’uguaglianza per chi viene considerato diverso.

Mediterranea riparte. Ci lasciamo alle spalle il Medio Oriente, una delle aree più difficili del mondo. Nessuno, con le sue contraddizioni, interprete mediocre di un concetto di pace e di dialogo difficile anche per noi come individui, se la sente di esprimere un giudizio. L’ennesimo luogo di questo nostro mondo in cui, tuttavia, la gente ci è sembrata migliore dei governi e la voglia di pace e di libertà più pronta della politica a immaginare, e vivere, un mondo migliore.