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(di Simone Perotti)

Incontro Stefania Nardini in modo del tutto anomalo rispetto a come incontro gli intellettuali a bordo di Mediterranea in questi anni di navigazione. Stefania, scrittrice, commediografa, autrice dell’unica biografia di Jean-Claude Izzo, è infatti compagna di viaggio, non ospite, su questa barca. Si è unita al gruppo che compie questa spedizione da poco, ma è già parte integrante del viaggio e dello spirito che lo anima. Anche per questo, entriamo subito nel vivo. “Questa città la ami o la odi, anzi, la ami e la odi, più volte al giorno. Qui è tutto forte, tutto diretto, qui non si discute, si litiga direttamente”. Dalle sue parole comprendo immediatamente qualcosa, ho immagini precise. Sono quelle dei libri, quelle dei racconti, del suo Alcazar (E/O Edizioni) e della sua biografia del grande scrittore di Marinai Perduti. “È un luogo in continua evoluzione – riprende la Nardini – basta andare via qualche mese e quando torni la trovi diversa, è successo qualcosa, almeno recentemente. Quel che invece non cambia è il suo essere finestra sulla libertà, luogo di rifugio, dove si corre in caso di guerra. Qui da sempre cerca protezione un’intera umanità”.

Chiedo a Stefania di raccontarmi come c’è arrivata lei a Marsiglia. “Ho iniziato giovanissima a lavorare per i giornali, prima locali poi tra i maggiori del Paese. Venivo dalla militanza politica, erano gli “anni formidabili” della contestazione e della lotta, dunque ero piena di parole e concetti come verità e giustizia. Ho lavorato tanto, studiato, mi sono impegnata molto, ho fatto inchieste, sono stata perfino sotto scorta. Poi a un certo punto ho lasciato. Avevo trentasei anni, ma avevo già capito che quel percorso per me si era esaurito. Mi sono dimessa per dedicarmi solo alla scrittura”.

Verso Marsiglia Stefania è partita seguendo le tracce di uno scrittore che non conosceva: “Avevo uno scatolone con dentro dei libri che non avevo mai letto. Ne ho preso in mano uno, era Il Sole dei Morenti di Jean-Claude Izzo, ho cominciato e non mi sono più fermata, coinvolgendo nel mio entusiasmo tutta la famiglia. Sarebbe finita lì, forse, ma una sera ho fatto un sogno nitido, chiaro, come fossi sveglia. Era lui, lo scrittore marsigliese, che mi indicava una finestra aperta, e mi diceva ‘Vai, Marsiglia ti aspetta’. Non c’era internet all’epoca, o comunque non si usava come oggi cercare immediatamente le fotografie sul web di chi ti appassiona. Io non sapevo come fosse il suo volto, eppure l’ho sognato, proprio lui, inconfondibile. Al risveglio ho chiamato la redazione per sapere qualcosa di più su Izzo, e incredibilmente il Corriere del Mezzogiorno, proprio quella mattina, aveva pubblicato un pezzo su Izzo. Da lì è accaduto tutto inevitabilmente, come fosse una pietra che rotola, ho saputo che il figlio Sebastien stava recuperando la memoria del padre, ho fatto in modo di incontrarlo… Non ho potuto che assecondare tutto, a quel punto. Sono partita per Marsiglia, da sola, poi con mio figlio, prima qualche giorno, poi settimane, e alla fine l’amore ha prevalso, sono rimasta qui. Erano gli inizi degli anni 2000, e mi sono messa subito a studiare il francese”.

Stefania si è sentita marsigliese all’istante, giacché, come sosteneva proprio Izzo, il più marsigliese di tutti è l’ultimo arrivato. Trova qui la passione, il calore della vita e dei quartieri, il grande amore verso gli italiani, emigrati a più riprese, parte integrante del DNA di questa comunità. “Era l’altra Italia qui. Forse mediterranea come mai mi era capitato di viverla, perché venata anche di sentimenti molto forti e ruvidi. Questa è una città crudele. Qui sopra, a nord, ci sono le Cité, i quartieri dei pied-noir, come chiamavano gli algerini venuti dal ’62 in poi, e oggi i tanti immigrati, i senza-documenti. In quei quartieri è come se la legge fosse sospesa, la polizia non entra più da anni, le gang si dividono il potere. La Castellan, forse il peggiore di essi, l’ho visto entrando grazie a un missionario, altrimenti sarebbe stato impossibile. È il quartiere da cui viene Zidane, tanto per capirci, dove vigono forme di apartheid tra confessioni religiose, gruppi etnici. Parti intere della città emarginate dal corpo centrale.”

Le chiedo se non sia incredibile una situazione del genere per la Francia dei diritti umani, il faro della civiltà mondiale dal ‘700 in avanti. “Certo che lo è. Qui, parliamoci chiaro, c’è un welfare saldo e forte, il Paese offre molte cose che in giro per il mondo sono sogni. Ma qui è come se la Francia dopo aver dato accoglienza e fornito, per così dire, i fondamentali, poi se ne lavasse le mani, come se dicesse ‘ti do la casa, ma poi stattene lì perché non sei del tutto francese e non lo sarai mai’. E sta anche cambiando, e anche molto rapidamente. Si sta consolidando una sorta di cultura della paura e dunque di Stato di Polizia, e questa è una reazione agli attacchi terroristici che hanno insanguinato la Francia negli anni scorsi. Ma i fatti di Ventimiglia, il comportamento francese verso i migranti alla frontiera italiana, hanno suscitato scalpore e riprovazione. Tanto che si sta perfino risvegliando una sorta di bisogno di riunirsi per discutere, gli ex militanti politici non ci stanno, la reazione a questa svolta un po’ poliziesca, un po’ dura, anche se comprensibile, è tangibile. Del resto, il terrorismo non nasce per caso, è la conseguenza della questione Algerina e del colonialismo del passato e forse del presente, in generale di un approccio verso altri Paesi”. Stefania Nardini non giustifica nulla, naturalmente, tanto meno la violenza, ma comprende il disagio che anche altri intellettuali mi confermeranno.

Chiedo qualcosa sulla vocazione mediterranea della Francia, che sembra divisa in due tra nord e sud. “È così, e la propensione verso il Mediterraneo sta anche scemando, secondo me. Dalla conferenza di Barcellona in poi, che segnava una sorta di leadership francese su questa porzione di mondo, tutto si è impantanato, non c’è stato di fatto alcun seguito, una sorta di chiusura, di rimozione, di passo indietro. Il sogno di Braudel si è interrotto”.

Eppure qui un laboratorio è in corso da sempre. L’islamico va a pregare al santuario di Notre Dame de La Guarde, le etnie si scontrano, ma si incontrano anche irreversibilmente. E questo nonostante un governo di destra terribilmente longevo che opera in senso opposto, e che immagina una città del tutto diversa, turistica e provenzale in luogo di quella portuale, eclettica e multietnica di sempre. “È così, una sorta di continuo lifting a una vecchia puttana. Questa città può fare quello che vuole ma non sarà mai né chic né elegante. E tanto meno folcloristica e tradizionale, anche se qui nell’anno di Marsiglia Capitale Europea della Cultura, il 2013, invece che celebrare Jean-Claude Izzo hanno fatto passare pecore e armenti per rievocare la transumanza. Paradossale. Ma soprattutto, per la città del grande scrittore, la città del porto, delle migrazioni… incredibile”.

Chiedo per ultimo se si ascoltino voci contro, voci che possono opporsi, come un tempo faceva il mondo degli intellettuali militanti, che oggi pare scomparso, non solo in Francia. “Quasi nessuno, purtroppo. Qualche voce, forse, c’è, ma sia nella stampa, nelle redazioni, sia nell’editoria, si tratta solo di voci isolate. Insufficienti a fronteggiare un’epoca così dura.”