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(di Simone Perotti)

Kostas Koutsourelis è un bell’uomo, con una sua fisicità, camicia bianca, pantaloni beige. Non ha l’aspetto del poeta, quello dell’iconografia classica, potrebbe sembrare semmai un direttore finanziario disinvolto, magari di qualche società quotata. Mi piace subito anche per questo. Non amo chi somiglia troppo a se stesso.

 

Si avvicina alla barca un po’ timoroso, si capisce che non è un uomo di mare. Sale a bordo attraversando la passerella, mi chiede “Is it safe?”. Lo rassicuro.

Gli offriamo dell’acqua fredda, come fanno dovunque nel Mediterraneo, per vincere il caldo, per dare refrigerio, per far sentire accolti. Un’usanza che è stata ormai adottata anche su Mediterranea. Kostas Koutsourelis è un uomo timido, mi pare. Si siede in pozzetto con qualche imbarazzo. Accavalla le gambe, appoggia un gomito sulla coscia, tenta di assumere una posizione disinvolta, ma come tutti i timidi riesce solo nell’intento opposto. Non so perché parliamo subito della sensibilità. “La gente fa confusione tra sensibilità e debolezza…”. Mi verrebbe subito voglia di parlare degli uomini in Grecia, chi sono, se sono in crisi, se sanno dove devono andare. Ma lui devia, mi chiede dei miei libri, gli racconto della mia trasmissione televisiva. E’ il primo che lo fa. Interessante chi fa domande, sempre più di chi afferma per forza qualcosa. Dopo poco riprendo il mio ruolo di intervistatore. Gli chiedo subito se sente la responsabilità di guida della società, quella che avevano i poeti un tempo. Lui sorride. “Non so se la gente segua i poeti. Certo il punto è comunicazione. Noi abbiamo la responsabilità di comunicare col pubblico. Siamo nella condizione interiore, nella disposizione di comunicare con la gente? Questa è una bella domanda. Oggi c’è un grande gap tra noi e la gente. Se vogliamo avere un impatto dobbiamo saltare questo muro. Gli scrittori greci sono poco diretti, non vanno al punto, non trattano di argomenti direttamente collegati alla gente”.

Bell’inizio. Avrei detto che fosse un intellettuale del tutto diverso. “Sono gli autori che inventano il mito dello scrittore. Noi abbiamo la responsabilità, soprattutto oggi, di essere meno eccezionali. Se visiti una libreria ti accorgi che le cose di cui scriviamo non interessano nessuno. Io ho scritto di questi temi, in qualche saggio, in qualche intervento, e l’ambiente culturale non l’ha preso bene. E’ più conveniente restare in un ambito di mistero, per gli intellettuali. Fai quello che vuoi ma non aprire mai la porta”.

Koutsourelis è su internet dal 1989, è su Facebook, comunica con i suoi lettori “ma anche con chi non legge. Siamo troppo isolati dal pubblico, voglio parlare anche con chi non mi legge. La gente ha paura, e giustamente, che il poeta è uno snob, che pochi possono capirlo. E infatti pochi capiscono i poeti. Ci sono davvero pochi poeti oggi che vengono letti da molta gente, e nella comunità intellettuale non sono molto ben accolti. Non so se mi spiego…”

Sorride, Koutsourelis. Il vino rosè della Macedonia comincia a metterlo più a suo agio. “Per la maggior parte dei poeti oggi si può scrivere di cose che non sono minimamente collegate con la crisi e i problemi odierni. Per me è del tutto impossibile”. Ecco un intellettuale contemporaneo. “I temi surreali, metafisici, sono molto interessanti, ma non sono gli unici. Michelangelo, che ho tradotto in greco, parlava delle guerre del Papa, di Giovanni della Rovere. Erano temi del tempo. In qualche modo, prima o dopo, gli autori greci dovranno rispondere a questo”.

Kostas Koutsourelisha scritto due raccolte di poesie dedicate alla Grecia ai tempi della crisi. “Sono due collezioni di poemi del tutto isolate,” ammette con qualche rassegnazione.

Ma la gente che protesta, quelli di Piazza Syntagma, sanno di queste raccolte, è possibile fare in modo che leggano? “Non credo. Sono molto impegnati, molto concentrati su quello che fanno. Ma da sempre chi ha scritto dei temi della gente della sua epoca è stato ricordato. Gli altri finiscono nei mausolei”. Ambizioso Kostas Koutsourelis, come è giusto che sia per un artista.

Gli racconto che in Italia gli intellettuali sembrano in gran parte lontanissimi dalla realtà, e sembra che non avvertano alcuna esigenza di scrivere in modo collegato alla realtà della gente, ai grandi temi della contemporaneità, o che avvertano la responsabilità di indicare una via, di fare cioè il loro mestiere. Gli chiedo cosa avviene in Grecia “Direi la stessa cosa, più o meno. Gli scrittori si sentono la voce di Dio, hanno perso il contatto con la realtà, si sono involuti rispetto ai tempi della dittatura e della Giunta. Io credo nella partecipazione, non nella supremazia dell’arte e dell’intelletto. Noi possiamo avere un piccolo ruolo, ed è giusto che lo interpretiamo, ma serve partecipazione orizzontale, da parte di tutti”.

Ma i giornali ospitano i contributi degli artisti? “Se lo facessero, che differenza ci sarebbe tra advertising e poesia? E’ una questione di priorità”. Questa affermazione non riesco a comprenderla, ma non riesco a chiedere una spiegazione, perché ora Kostas Koutsourelis ha preso il via, si è rilassato, mi parla della separazione tra campi dell’arte, che non dialogano tra di loro in Grecia, ognuno chiuso nel suo angolo, e questo restringe il pubblico, ognuno il suo, senza travaso laterale, dunque riducendo l’impatto dell’arte sul pubblico. “E’ tutto frammentato. Nessuno sa quello che fa il vicino, viviamo universi paralleli. Dobbiamo chiederci sinceramente ciò di cui davvero abbiamo bisogno, ciò che dobbiamo davvero fare. Se l’arte è un mondo peculiare, possiamo andare avanti così. Se vogliamo riconnetterci al ruolo che l’arte ha sempre avuto nel passato, dobbiamo cambiare la nostra attitudine, cambiare stile, cambiare argomenti. Forse dobbiamo urlare di più, e capire cosa significa per noi il significato delle parole che usiamo. Noi crediamo davvero nelle nostre parole? Hanno davvero senso per noi?” Dobbiamo cambiare il rapporto con noi stessi, penso, per cambiare quello con le nostre parole. Occhi nuovi.

Gli racconto del nostro viaggio, una spedizione che cerca elementi per una possibile cittadinanza mediterranea, e se siamo pazzi a pensarla così. I greci sentono questa cittadinanza? Esiste questo sentimento? “Esiste. Ma occorre chiedersi se è davvero percepita come importante. Come mai tanti stati vogliono separarsi, dovunque, perché questo grande desiderio di isolamento, di indipendenza, invece che di unione? E’ un’utopia quella che perseguite? Chi lo sa, devo chiedermelo. Ma il sentimento di unione attuale nel Mediterraneo non basta. Dobbiamo far incontrare le nostre identità. Possiamo parlare davvero, e profondamente, di un’identità mediterranea, di una letteratura mediterranea? Non sono né pessimista né ottimista. Forse dovremmo iniziare a parlare delle nostre differenze. Forse solo allora potremo parlare della nostra identità”.

Koutsourelis è acuto, non spreca parole. Vorrei parlarci in greco, sento che direbbe molto di più, parole e impressioni acute. Sento la sofferenza della lingua, quella che prima o dopo coglie qualunque viandante in autentica ricerca di qualcosa di prezioso. “Perché l’Europa è messa così male? Forse per lo stesso motivo,” aggiunge. “L’Europa è un paese di Paesi, ma non è una patria”. Ecco quando i poeti trovano la frase, trovano il punto. Aggiungo che forse il Mediterraneo è nella condizione opposta. Non è un Paese, ma è una patria. Che gramo paradosso. Gli chiedo se siamo davvero degli utopisti, mi risponde con un sorriso diplomatico: “E’ cibo per il pensiero. Le utopie, anche quando sono tali, sono comunque utili per riflettere”. Pensare che io odio l’utopia, perché è irrealizzabile…

Kostas Koutsourelis ha deciso che il nostro incontro sta per finire. “Ciò di cui abbiamo bisogno è un punto di equilibrio. In Grecia abbiamo tre orientamenti fondamentali: quello mediterraneo, quello europeo, quello ortodosso, che è rivolto ad est. E’ l’eredità del legame che qui nessuno ammette, ma c’è: quello con Costantinopoli, con il mondo e la cultura ottomana, con l’Impero romano d’oriente. Ci serve un punto di equilibrio tra queste vocazioni. Dobbiamo guardare in faccia la realtà: la diversità di cui vive il Mediterraneo è un elemento di forza, ma è anche una debolezza, l’origine dei conflitti”.

Come possiamo cambiare questo paradosso, per cui la nostra forza è anche la nostra tragica debolezza? “Dobbiamo reinventare la vita del Mediterraneo, farlo diventare un autentico modello. Noi siamo solo dei follower, oggi, consumiamo quello che ci dicono. Dobbiamo recuperare un percorso originale, profondamente locale ma anche in grado di fronteggiare la contemporaneità. Dobbiamo pensare e realizzare un nuovo Modello Mediterraneo. Altrimenti resteremo sempre dei follower, cosa che è sempre molto conveniente, ma non ci porterà alcuna gloria”.

Qualcuno può condurre questo processo? C’è qualcuno, in Grecia, che può indirizzare verso questo immenso obiettivo? “Ho paura di no. Servirebbe più ambizione, che è l’attitudine di uscire dal sentiero e calpestare un nuovo terreno. Ma non c’è…”.