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(di Simone Perotti)

“Cos’è il successo…”. Se lo chiede Kamal Mouzawak, chef di grande tendenza e ispirazione, sorto agli onori della cronaca anche internazionale grazie a una visione del tutto originale del suo lavoro. Iniziamo l’intervista parlando di Slow-Food, di cui è stato membro del board per due anni, l’unico non italiano a farne parte, e poi ne è uscito sbattendo la porta. Gli chiedo perché. “Motivi di potere” mi risponde laconico, senza aggiungere quali. “Vede” aggiunge, “il mio credo non è il guadagno, ma la comunità sociale. Io voglio fare una piccola isola di cose buone”. Kamal cita Eataly, e io mi incuriosisco. Capisco anche male perché il suo inglese è ottimo ma pronunciato in modo molto chiuso, quasi stoppato, e inizialmente perdo qualche parola. “Farinetti ha creato un format molto chiuso e preciso. È bravissimo, lo invidio, ha creato un impero, magari ci riuscissimo noi. Ma quel format è tutto basato sui soldi, il resto sono cose di contorno con poco rilievo, piegate al denaro. A me interessa lo sviluppo sociale”. Interessante approccio per uno che dovrebbe cucinare. In questa epoca se vuoi un filosofo devi andare al ristorante. “Il format di Eataly è super, ma privo di emozione e di orgoglio. Noi siamo dei nani al confronto, ma il nostro modello è tutto basato sulle persone.” Fin qui, mi renderò conto più tardi, sto pensando che Kamal viaggi per slogan e poco altro, ma mi sto sbagliando.

“Su una cosa siamo d’accordo e io ne faccio una battaglia: bisogna che il valore venga riconosciuto. Se uno vuole: cibo sano, fatto bene, con autenticità, facendo lavorare le persone vere, non uno chef pervaso dal suo ego e strapagato… beh, tutte queste cose insieme si pagano. Ed è necessario, perché poi quei soldi servono a tenere tutto in piedi”.

Entriamo sul tema chiave del nostro essere qui, la cucina del Mediterraneo. “È cucina del mare, delle migrazioni, il Mediterraneo non è un muro ma un link, un collegamento tra gente e luoghi. Ad esempio le montagne, che per noi in Libano sono quasi più centrali del mare, anzi, in mare ti ci spingono a calci, come la Liguria, costringendoti però a cercare nuovi spazi, guardando l’orizzonte. Il Libano è un gate, una porta, tra l’Iran e l’India e i paesi dell’ovest. Come dice Braudel, se Erodoto rinascesse non riconoscerebbe il Mediterraneo, non saprebbe cosa sono le patate, il pomodoro, e mille altre cose, come le spezie. Il Mediterraneo è eterno cambiamento, continuo mutare, non è qualcosa di fisso. I cliché lasciamoli alla gente semplice”. Accidenti, che bella accelerazione.

Luce, prima di tutto. Mare. Tribù, nel senso della famiglia e di quel che gira intorno ad essa nella comunità d’appartenenza. E gli scambi, le contaminazioni, non si possono limitare a una cosa soltanto, a un sapore o a una pietanza. Gli scambi, se ci sono, sono scambi su tutto. Il curry è la spezia più usata negli USA, ma direi che non è autoctona. Ecco, quando accetti una spezia, devi accettare anche tutto il resto di quel paese di provenienza, e delle sue persone, dei valori. Exchange is exchange”. Beh, dopo giorni di interviste a gente cauta che sembra non volersi schierare su niente, ecco un uomo che dice cose dirette e senza paura di sembrare troppo radicale. L’effetto “slogan” comincia a stemperarsi.

“Vede, la gente non vuole pensare. Preferisce prendere per buono quello che c’è, in maniera acritica. Si fa meno fatica”. Eccoci subito non d’accordo, molto d’accordo.

“Giorgina, la cuoca di oggi, è felice e orgogliosa di mostrare chi è lei. Questo conta per me”. E qui devo specificare. Quando Kamal cita Giorgina io penso a un aiuto cuoco, cioé qualcuno che oggi cucina ma ieri e domani forse non occupava quel ruolo. Quasi mi rammarico che il cuoco ufficiale, che penso sia lui, oggi non sia dietro i fornelli. Non ho capito praticamente niente. Il modello di Kamal Mouzawak è decisamente diverso da altri conosciuti: ogni giorno una “mamma”, come le definisce lui, cioé una cuoca che lui sceglie attraverso un procedimento informale e assai bizzarro, osservandole prima al mercato, chiedendo, parlandoci, insomma, una che potrebbe essere nostra madre ogni giorno cucina e fa lo chef nel suo locale, dove ci troviamo, il Tawlet, incistato in un vicolo cieco ma dentro affascinante, luminoso e di una sobria e ispirata modernità. “Ma lei cucina?” gli chiedo “Assolutamente no, cucinano le mamme!”. Accidenti…. In sostanza lui coinvolge queste signorone sorridenti e abbondanti e tu, andando da lui, ogni giorno mangi ricette diverse, esposte a buffet, che provengono dalla cucina delle case nei diversi villaggi, anche siriani, prevalentemente libanesi, del nord, della costa, del sud, delle montagne. 

“Vede, noi non cerchiamo soluzioni o dialogo o altre cose altisonanti. Cerchiamo di fare bene, onestamente, naturalmente del buon cibo, e della formazione scambievole. Lui è uno chef giapponese, ad esempio, è qui per un training di qualche mese, a imparare i nostri sapori. Giorgina , che viene dal nord Libano, dall’interno, domani sarà seguita da Rima Massoud ecco, una mamma sempre del nord, ma vicina a Tripoli, che è sulla costa. Giorgina odia il pesce, non fa parte della sua cultura, ma la mamma di domani vedrà che lo preparerà”. Trasecolo, m’incuriosisco, mi dimentico della faccenda degli slogan.

Ricordo anche, mentre lui ne accenna velocemente, che Kamal ha anche fondato un suq, un mercato, che si tiene tutti i sabato dalle 9 alle 14, il Souk el Tayeb, cioè un mercato contadino in cui solo prodotti sani e di certa provenienza, genuini e originali, vengono venduti dando spazio a piccoli produttori. Così come ha proposto, con una certa risonanza, di non dare cibo preconfezionato chissà dove, magari in EU o negli USA, ai profughi dei campi libanesi, soprattutto siriani, ma di far cucinare le donne, per restituir loro la centralità perduta con la disintegrazione sociale della guerra e la promiscuità dei campi, per renderle ancora riferimento di figli e mariti a cui dar da mangiare, utili e dignitose, e per far mangiare a tutti i profughi quel sapore e profumo che viene dalla casa che hanno perduto. Direi che ce n’è abbastanza per amare quest’uomo di sobria eleganza e modi raffinati, che parla a mento alto e con la sicurezza serena e concreta di uno Zarathustra filosofico-gastronomico.

Io voglio solo cercare un posto dove le possibilità sono possibilità. In arabo c’è un detto: Ogni atto è adorare. Dobbiamo fare bene quello che facciamo, il Kung-Fu degli orientali, l’aspirazione alla perfezione. E dobbiamo farlo seguendo quello in cui crediamo, che qui sono il cibo buono, le persone e il valore che hanno, e le donne, che sono quelle che sfamano il mondo. E aggiungerei meno ego. Dunque cibo buono, meno ego e le donne, questo potrebbe essere un buon sunto della nostra modalità di lavoro”.

Siamo tutti colpiti, io per primo. Seguiamo la preparazione del Tabbouleh che lui chiama “dei crociati”, ma non mi spiega perché. Infine risponde alla mia domanda su quali siano per lui i sapori del Mediterraneo. Non ha alcuna esitazione: “Olio d’oliva, timo, bulgur. Ma ci sono sempre da tenere in considerazione due parametri, che sono la freschezza, sia intesa come materiali freschi sia intesa come ciò che è fresco, opposto a ciò che è caldo. E poi, il colore”.

Qui sotto la ricetta del Tabbouleh alla maniera di Chef Kamal Mouzawak

Per 4 persone:

– 2 mazzi prezzemolo
– 1 mazzetto di foglie di menta
– 4 piccole cipolle gialle
– 1 pomodoro rosso grande
– ½ bicchiere di bulgur fino
– il succo di 2 limoni
– mezzo bicchiere di olio extra-vergine d’oliva 
– sale, pepe q.b.
– alcune foglie di lattuga romaina o di cavolo bianco

Pulire il prezzemolo e la menta eliminando le foglie gialle o troppo asciutte.
Lavare il prezzemolo, la menta, il pomodoro e le cipolle. Far asciugare bene.
Lavare il bulgur risciacquando più volte fino a che l’acqua è chiara, far asciugare e poi ricoprire d’acqua fino a mezzo centimetro sopra la superficie del grano.
Tagliate il pomodoro a cubetti e aggiungete al bulgur.
Tritare prezzemolo, menta e aggiungere al bulgur e pomodoro.
Infine, aggiungere le cipolle tritate e aggiustare di sale e pepe.
Mescolare e poi aggiungere il succo di limone e l’olio d’oliva.
Il tabbouleh deve essere generosamente condito, ma non annegato in liquidi. Dovrebbe essere un’insalata croccante e leggermente al limone.
Servire con le foglie di lattuga romana o di cavolo bianco – devono essere croccanti e teneri.

Dice Chef Mouzawak:
– Un tabbouleh deve essere ricco di prezzemolo
– Non c’è altro prezzemolo che quello a foglia piatta
– Non c’è altro grano che il bulgur
– Tabbouleh e cous cous non sono la stessa cosa – non si conoscono nemmeno. Mai!
– Qualsiasi variante, variazione, adattamento o interpretazione è benvenuta, ma per l’amore di tabbouleh, trova altri nomi per le tue creazioni!