Mediterranea

(di Simone Perotti)

Non esiste la barca perfetta. Esiste solo il marinaio che sa dove andare e trova la barca giusta per farlo. Un po’ come Giasone, che nulla sapeva di navigazione, ma chiese a un grande architetto nautico, Argo, di disegnare e realizzare l’imbarcazione perfetta per il viaggio più avventuroso dell’antichità.

Noi ideatori e marinai di Progetto Mediterranea abbiamo fatto questo, assistiti da una buona dose di fortuna, che come noto aiuta sempre gli audaci, soprattutto quando si tratta di spedizioni ambiziose. Il Mikado di 60 piedi denominato Ship Happens,  appartenuto a uno scrupoloso ed esperto armatore e marinaio triestino è diventato “Mediterranea” perché il suo equipaggio cercava esattamente una barca così: un ketch solido e dalle linee profondamente marine, con ¾ di chiglia lunga, timone protetto da skeg, prua sempre precisa nell’onda, armo a cutter con molte possibilità di combinazioni nella velatura, ma centro velico sempre ben bilanciato, poca tecnologia a bordo, tanta energia da sole e vento, un motore da 110CV – ben in grado di spingerla nelle manovre e nella navigazione controvento – tanta acqua dolce, tanto gasolio, per non doversi rifornire troppo spesso. E alla prova del mare, non ci siamo sbagliati.

Questa è la barca che ci sta portando in giro per il Mediterraneo e con cui stiamo realizzando il nostro progetto. E’ la barca su cui i Rais, uomini e donne più o meno esperti che affiancano i comandanti di Mediterranea e che si sono candidati a diventare perfetti marinai, stanno imparando a navigare.

Le 6000 miglia percorse fin qui da Progetto Mediterranea (da Messolonghi al Golfo di Venezia lungo tutti i Balcani, poi da San Benedetto del Tronto alla Grecia, Turchia, Mar di Marmara, Anatolia settentrionale, Mar Nero, Georgia, Bulgaria e Romania, e quindi ancora giù lungo tutto il Dodecanneso fino a Creta) si sono rivelate lunghe e impegnative, soprattutto nei periodi invernali, ma il Mikado è stato perfettamente all’altezza del ruolo. La sua potente linea d’ancoraggio non ha mai tradito. La sua grazia marina e il suo sorprendente passo alla vela (vele Banks Sails, realizzate dalla Veleria B&D srl del napoletano Dario Desiderio), sono stati esaltanti. A riprova che certe barche, in certe epoche, venivano disegnate e realizzate con un’unica idea progettuale: navigare davvero.

Il Mikado nasce come 56 piedi dalla matita di Michel Bigoin – designer, tra l’altro, del Pen Duick V di Tabarly – nei mitici e mai troppo rimpianti Cantieri Nautici del Sud Ovest (Francia), ma Ship Happens/Mediterranea (1975) è stata modificata nella poppa, originariamente con specchio verticale, per aumentarne linea d’acqua e capacità di stoccaggio. I motori montati erano Renault o Perkins, ma l’attuale VM non lascia nulla al rimpianto. Alberi potenti, assicurano solidità e tenuta anche per l’uso della trinchetta senza volanti. Con mezzana terzarolata e trinchetta, Mediterranea si è rivelata in perfetto equilibrio anche con venti molto sostenuti e mare formato. Grazie a 4 pannelli fotovoltaici, due a cassa e due a film, e 2 Silentwind 450, il rifornimento elettrico dei tre pacchi batterie da 24V è stato sempre più che sufficiente, oltre che del tutto eco-compatibile: in due anni e mezzo Mediterranea è stata collegata alla rete elettrica portuale soltanto durante i lavori di ristrutturazione e ammodernamento  più importanti necessari dopo l’incidente dovuto al fortunale che la investì nel porto di San Benedetto del Tronto, nel quale affondarono ben 10 imbarazioni. Mediterranea tenne duro grazie al suo scafo in sandwitch, vetroresina e balsa, spesso 15 cm al baglio massimo, altrimenti sarebbe in fondo al mare. Uno scafo poco immerso per essere stato progettato negli anni ’70, dunque per l’epoca molto innovativo, realizzato in modo leggero e solidissimo, nonostante all’epoca si preferisse la struttura della barca alla solidità. Veloce per il peso, durissima contro mare e avversità, ecco i punti di forza di uno scafo adatto a una spedizione avventurosa, in luoghi non sempre ideali.

In questo periodo di crisi, le barche belle realizzate in epoche di solidità e rispetto per il mare, andrebbero salvate dall’incuria e dal dimenticatoio. Sono un patrimonio culturale prima che nautico e marinaro. Il fatto è, purtroppo, che per salvarle non servono soldi o strutture, ma progetti di navigazione vera e marinai desiderosi di andare. E questi, come si sa, sono da tempo assai più in crisi della finanza internazionale. Buon vento alle idee, dunque, e a chi ha davvero il coraggio di salpare!