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(di Simone Perotti)

“C’è tanta creatività qui. Un popolo giovane, che si è aperto da poco all’arte verso l’occidente”. Ferdan Yusufi  è una donna appariscente, vestita in modo molto estroso, capelli lunghi mossi, un foulard al collo trattenuto da un bracciale di pietre, gambe scoperte con calze ricamate. Una vera gallerista nel senso più newyorkese del termine. 

Invece siamo a Istanbul, città che ha una particolarità, che abbiamo osservato anche visitando la bellissima struttura della Istanbul Modern, la galleria d’arte moderna e contemporanea sulle sponde del Bosforo, a Tophane. In Turchia l’arte contemporanea, nel senso in cui noi occidentali la intendiamo, c’è da poco tempo, qualche decennio. Ferdan dice dal 2000, all’incirca. “Più o meno in quel periodo le cose sono molto cambiate. Sono fiorite le scuole, le accademie d’arte, e anche le università si sono fatte parte attiva di una vera rinascita”. Prima di poco tempo fa, qui non c’erano Cimabue, Canaletto, Michelangelo e poi Ligabue e Guttuso. Gli artisti turchi, sotto l’Impero Ottomano e poi nella Repubblica novecentesca dopo Oran Kemal Ataturk, seguivano altri stili, altre linee estetiche, su altri soggetti, con altre tecniche. L’apertura all’estetica artistica occidentale (quando si dice occidentale, in Turchia, non si parla di nulla di estraneo, perché questo posto del mondo E’ occidentale, tanto quanto si potrebbe dire che E’ orientale, ndr) avviene con le post-avanguardie, in certo senso, e nella Istanbul Modern se ne vede chiaramente traccia, ma accede all’arte contemporanea quasi d’un fiato, con un ponte in grado di sovrastare spazio e tempo, come sembrano fare le grandi gettate sul Bosforo.

“Se prima c’è stata la tentazione di rifiutare e abbandonare parzialmente l’estetica miniaturista e certa grafica decorativa tipicamente ottomana, con forti influenze persiane e arabe, ora assistiamo a un recupero e a una trasfigurazione di questa tradizione, che è una cosa molto importante. Io stessa ho proposto artisti turchi in grado di compiere questa contaminazione, proprio in Italia”.

Già, l’Italia. Ferdan Yusufi è da vent’anni il crocevia dell’arte italiana in Turchia e viceversa. Partecipa nella gestione e nell’organizzazione di una grande galleria romana, così come svolge un intenso lavoro di interfaccia, indirizzo e proposta. “Qui c’è una grande creatività. Questa città sta diventando un riferimento essenziale per il design e per la moda. Dall’arredamento alla decorazione d’interni, un’intera classe sociale vive l’arte, gli atelier e le mostre come un fenomeno di grande partecipazione, quasi un evento mondano, ma senza perdere il senso del valore intrinseco delle cose”. Molto interessante.

Cosa prevale nell’arte contemporanea turca? “Si è iniziato dall’astrattismo, forse un po’ precipitosamente. Ora vedo molto interesse per il neo-figurativismo, che sia iperrealista o meno non conta molto, e questo è un bene, perché così viaggiamo nell’arte, spaziamo, assistiamo alla sperimentazione necessaria per vivere e crescere secondo un bel percorso artistico che qui aumenterà nel prossimo futuro, così come in Italia, vedrete, rifiorirà”.

Le chiedo se è ottimista sul mercato artistico del nostro Paese. “Ma certo che lo sono. Voi siete artisti, tutti voi, ognuno di voi. Vivete da sempre nell’arte, nel bello. Ora tutti si lamentano in Italia, ma resisterete poco. Non potrete non riprendere a fare, vivere, commerciare arte. E’ la vostra natura!” Speriamo che abbia ragione.

Provo a chiederle qualcosa del Paese. Ma gli artisti fanno politica qui? “Più che farla, vivono nella politica. Ne sono influenzati. L’artista vive nella società, è vicino alle cose. E poi l’artista, se lo sente, deve sempre andare oltre”. Ci fermiamo qui. “Andava bene? quando vedo una telecamera io mi immobilizzo…”.