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(di Simone Perotti)

Nel caso non sapeste cos’è, com’è, un giornalista estero appassionato e informato, che da decenni calca la scena del Mediterraneo e ha intervistato qualunque leader, o ha sott’occhio i mutamenti più o meno eclatanti della società dell’area, basta chiedere di Antonio Ferrari, un po’ Kapuściński un po’ Terzani, con una punta d’aplomb tutto firmato Corriere della Sera.

Ci incontriamo per l’intervista, ma come ci sediamo è lui a intervistare me, domande serrate, chi, cosa, dove, come quando, l’abc dell’inviato. Ma non siamo qui per me, siamo noi ad intervistare lui, e ci interessa l’occhio dell’editorialista, la mente dell’osservatore.

“La vostra spedizione potrebbe potrebbe apparire ingenua, ma non lo è. Potete cucire insieme tante pulsioni, e tante componenti possono aiutare a capire noi stessi. E poi, in un’epoca tutta virtuale, muoversi fisicamente è importante. Chi non va non vede, dunque non sa”. Incasso questo assenso come una benedizione. Del resto l’uomo che ho di fronte, non più un ragazzino, di Mediterraneo ne sa davvero tanto, forse una sorta di memoria vivente.

“Vivo qui, ad Atene, ho sposato una donna greca, che insegna glottologia all’università. Noi e questo popolo siamo saldati. Tanto da far venire anche certi pensieri. Ad esempio: nel ’67 c’è il colpo di Stato e nel ’69 da noi inizia la strategia della tensione. Solo un caso?”

Chiedo a Ferrari dei decenni andati, un quadro. Lui si sofferma sulla guerra civile (è stata terribile) e su un paradosso, tutto greco: noi invasori ai tempi di Mussolini che dopo l’8 settembre diventiamo oggetto delle simpatie e della protezione dei greci invasi. “Molto strano, no?! Un gesto di compassione e di amicizia che mai, forse, abbiamo riconosciuto”.

Ma questi nostri fratelli greci, quanto a Mediterraneo, cosa sentono, cosa pensano? “Un’idea, un sentimento di cittadinanza mediterranea, serpeggia, ne sono certo. E’ una volontà subliminale, che forse ha una causa: la voglia di un nuovo orizzonte, qualcosa di nuovo e meno ammaccato a cui riferirsi e aggrapparsi. Per il resto, altrimenti, c’è solo il nazionalismo e il fascismo”.

Ferrari racconta la delusione della conferenza di Barcellona, nel ’92, quando pareva che vi fosse l’occasione per mettere insieme, cercare di fare sistema in una molteplicità quasi incensibile tra le sponde del Mare Interno. “Non è mai partito nulla. Tutto si è fermato alle differenze. Eppure pareva che le circostanze ci fossero, e che potesse accadere qualcosa che poggiasse sul concetto di convivenza e solidarietà, i due pilastri su cui può poggiare il sentimento mediterraneo”. Invece siamo qui oggi a osservare le gesta di violenti e razzisti. Complice la crisi. “Alba Dorata fa vergognare i greci, te lo assicuro, ma non credo che si andrà oltre il livello di tensione raggiunto qualche anno fa. La guerra civile qui non ci sarà. Immaginati cosa sarebbe successo a noi, all’Italia, se ci avessero imposto le misure di austerità che sono state imposte qui. Sarebbe scorso sangue nelle piazze, assai e ben oltre che qui”.

Ma ora come va? “Assistiamo a una crescita minima. Un’inezia di segno positivo, ma qualcosa si muove. La crisi si è sentita soprattutto ad Atene, nelle isole poco, quasi per nulla. Il turismo è andato benone, anche perché altri Paesi in crisi hanno offerto opportunità alla Grecia. Penso ad Egitto e Turchia, un tempo del tutto affidabili e a basso costo e ora meno sicuri e più cari”.

Parliamo anche un po’ di politica, dalla crisi del Pasok fino a a Syriza. “Movimento interessante quello di Tsipras, anche se quello che dice in Europa qui non lo dice, la sua componente parlamentare è troppo variegata e divisa in correnti. La gente si chiede se ce la farà a tenere insieme tutto, e anche io”.

Passiamo alle primavere giovanili, quelle che hanno infiammato il Mediterraneo da Lisbona a Genova a Piazza Syntagma a piazza Taharir, a piazza Taksim, a Tunisi. “La gente si muove, cerca finalmente qualcosa. La Tunisia ha iniziato e sta facendo qualcosa di buono. La Libia fa paura, perché è uno dei capisaldi del plot che va dalla Siria all’Egitto all’Iraq. La Giordania, paese che seguo e amo molto, ha 1,5 milioni di profughi siriani, dunque teme molto l’infiltrazione del ISIS”. Molto sospetto questo esercito venuto su dal nulla, con tanta violenza, non trovi Antonio? “Molto sospetto, sì. Di Bin Laden si sapeva un po’ tutto. Questo Al Baghdadi invece chi è, da dove viene, come si è formato, che ruolo ha? Mah…!”

Ma cosa ci divide in quest’area così in movimento? “Non credo alle differenze religiose. La religione è sempre uno strumento, ma il vero fine delle contrapposizioni. I nemici dell’unione dei paesi del Mediterraneo sono economiche e sociali, e anche quelle dei diritti umani. L’elemento comune invece è la sicurezza. Tutto sommato quest’area è tra le meno violente del mondo, almeno fino ad ora. Sai che Portogallo, Spagna e Grecia sono le zone meno a rischio? Pensa, tre Paesi in crisi…”.

Poi ci mettiamo a scartabellare le agende. Ferrari parla con l’ambasciatore italiano in Turchia, poi con scrittori e giornalisti. Ci aiuta a organizzare il progetto culturale di Mediterranea per la tappa turca. Quando ci salutiamo so che gli dobbiamo qualcosa, e che ci rivedremo.